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Capodanno Cinese 2020: Anno del Topo, i festeggiamenti a Roma

7 Gen

Capodanno Cinese 2020: il programma dei festeggiamenti a Roma da sabato 25 gennaio 2020, con spettacoli, mostre, danze, stand e fuochi d’artificio
#chinesenewyear2020

La Festa di Primavera, conosciuta all’estero come Capodanno Cinese, è la più importante festività annuale in Cina, ed è paragonabile alle festività natalizie dei paesi occidentali. Festeggiare un anno di duro lavoro, riposarsi e rilassarsi con la propria famiglia, augurandosi che l’anno successivo sia fortunato e prospero – secondo la credenza che un buon inizio porti fortuna e successo professionale durante il corso dell’anno – sono i preamboli di una tradizione che trae le sue origini dalle antiche civiltà agricole cinesi e dai loro desideri di un buon raccolto.

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Lo Studio Canova a Roma

22 Ago

Curiosità romane: lo Studio Canova a Roma, in via delle Colonnette 26A-27.

Nel 1779 Antonio Canova, scultore e massimo esponente del neoclassicismo, decise di trasferirsi nella città di Roma. Dopo essersi inserito nella vita cittadina, nel 1803 acquisì un immobile nel Campo Marzio, vicino al Porto di Ripetta, dove organizzò un ampio studio. Si trattava di una vera e propria bottega all’antica, dove Canova, la cui eccellenza (e anche la moda) richiamavano numerosissime commesse, operava insieme a numerosi collaboratori.

L’edificio ospitava anche reperti archeologici da studio, giunti in vario modo nella disponibilità dello scultore, e che figurano oggi in parte murati nelle pareti anche esterne dell’edificio. Alla morte dell’artista l’immobile, come testimonia la lapide affissa in facciata sull’attuale via Canova nel 1822, fu lasciato in eredità – insieme all’attrezzatura – ad Antonio D’Este, scultore e collaboratore del Canova stesso, e a suo figlio Alessandro.

L’edificio è privato, ma vincolato dallo Stato per il suo interesse storico-artistico nel 1953. Dal 1978 è stato trasformato in una galleria d’arte. Oggi è la casa-studio dell’Artista Luigi Ontani e sede dello Studio di Architettura loft Canova e dell’Agenzia di Comunicazione Pixell.

Fonte: Wikipedia

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Palazzo Bonaparte e il balconcino della madre di Napoleone

8 Lug

Curiosità romane: Palazzo Bonaparte e il balconcino da pettegolezzo della madre di Napoleone.

Il palazzo Bonaparte, già D’Aste Rinuccini, è un palazzo sito in piazza Venezia, a Roma, nel rione Pigna.
L’edificio è una delle opere più importanti dell’architetto Giovanni Antonio De Rossi.
Dalla sua fondazione nel 1677 (i lavori iniziarono vent’anni prima, nel 1657) Palazzo Bonaparte ha visto avvicendarsi le famiglie romane dei Cervini, Margani, D’Aste e Rinuccini fino ad essere acquistato nel 1818 da Maria Letizia Ramolino, madre di Napoleone, che visse in questo palazzo situato all’angolo tra Piazza Venezia e via del Corso, fino alla morte, avvenuta nel 1836.
Fu proprio lei a volere il famoso balconcino verde, tutt’oggi visibile proprio dallo scorcio tra Piazza Venezia con via del Corso, diventato simbolo del Palazzo stesso dove Madame Mère – così firmava Letizia Bonaparte la sua corrispondenza con i Sovrani dell’epoca – trascorreva le sue giornate osservando senza essere vista il passaggio delle carrozze nella Roma di inizio Ottocento quando, ormai ottuagenaria, era impossibilitata a uscire di casa.
Quando divenne cieca, si faceva raccontare dalla dama di compagnia quello che succedeva nella piazza (allora detta piazza San Marco) e nella strada.

Sempre a lei lo scultore Canova regalò il modello in gesso della gigantesca statua del Marte Pacificatore, dedicato alla figura dell’Imperatore, ancora oggi conservato al centro dell’anticamera dei suoi appartamenti.

Fonte: Wikipedia e Generali.it

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Ninfeo degli Specchi: giochi e scherzi d’acqua al Palatino

28 Giu

Riapre al Parco del Colosseo il Ninfeo degli Specchi: giochi e scherzi d’acqua al Palatino.
Con il solstizio d’estate la magia dell’acqua riaccende il Ninfeo degli Specchi e la fontana dei Farnese torna all’antico splendore.

Un’alternanza di giochi e scherzi d’acqua torna a riaccendersi nell’antico Ninfeo degli Specchi sul Palatino. Dopo il fascino degli Horti Farnesiani con il suo Fontanone, il maestoso Ninfeo della Pioggia e dopo la sistemazione del roseto Palatino, in cui spicca la rosa Augusta Palatina, è ancora il giardino segreto dei Farnese, la famiglia che ha segnato la Rinascenza del colle Palatino, a far parlare di sé restituendoci un pezzo di storia.

E’ Giacomo Boni stesso, primo storico direttore del Foro Romano e del Palatino, che nella sua pubblicazione del 1914, “L’Arcadia sul Palatino”, descrive la riscoperta della fontana farnesiana, denominata anticamente de gli Spechi per le decorazioni e la presenza di satiri a tutto tondo che trattenevano degli specchi.

“[…]Rimosse le terre di scarico e le immondezze, stendentisi a scarpa dalla platea orientale degli Orti Farnesiani sulla via moderna, che sale per l’area palatina al fianco occidentale del palazzo dei Flavi, apparvero le vestigia della “fontana de gli spechi”, fiancheggiata da rampe”.

Il ninfeo è incastonato nel fianco sud-est degli Horti Farnesiani come si vede nella carta del Falda; l’acqua che lo alimentava arrivava a caduta dalla sovrastante fontana dei platani, oggi completamente perduta, luogo ameno sede dell’Accademia dell’Arcadia alla fine del XVII secolo.

“Il ninfeo, absidato[…]doveva essere originariamente ricoperto da cupola a semicatino; contiene tre nicchie[…]; una nel mezzo e le altre di fianco[…]”. “Le nicchie sono incrostate da stalattiti e gli spazii intermedii da meandri ed anelli in mosaico e da stucchi[…]Il Piano delle nicchie incrostato di ghiaietta o ciottolini piatti, conteneva zampilli d’acqua od era sormontato da una statua come indicano le tracce del basamento[…]Delle due scalee ai lati dell’abside rimane la destra

[…]fiancheggiata da un muro a pilastri, e con inquadrature rivestite di stalattiti come quelle del ninfeo. […]Rimane, nel mezzo, un disco composto da quattro anelli concentrici, di porfido rosso, serpentino verde, marmo giallo e porfido[…]Sul penultimo anello e nel centrale sono quattro cerchi di tubetti in piombo, destinati ad uno degli scherzi abituali nei giardini della fine della Rinascenza. Al di sotto, due fistole plumbee, lunghe due metri[…]terminano, a guisa di rastrello, con altri due condotti normali…e muniti di cinque zampilli verticali per giuochi d’acqua”.

Il ninfeo, caduto in disuso con l’abbandono e il degrado del giardino farnesiano, rivive oggi grazie ad un’installazione a cura dell’architetto paesaggista Gabriella Strano. Il progetto moderno, allestito nel rispetto del manufatto storico-artistico, suggerisce il fascino degli antichi giochi e scherzi d’acqua che un tempo sorprendevano gli ospiti della famiglia Farnese e oggi “scherzano” con i passanti incuriositi.

“Il progetto rientra nell’ambito della rifunzionalizzazione di tutte le fontane, antiche e moderne, del Parco archeologico del Colosseo” ha dichiarato il direttore del Parco, Alfonsina Russo e ha spiegato “la valorizzazione del colle Palatino passa anche per il ripristino degli antichi contesti in una passeggiata che da oggi si arricchisce anche del suono antico dell’acqua che per secoli ha allietato i nostri antenati. L’area – ha concluso il direttore – diventa uno spazio ulteriore di refrigerio e sosta per i visitatori e a breve verrà restaurato il pavimento in mosaico”.

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Hunting Pollution, la street art di Iena Cruz contro l’inquinamento

16 Nov

Curiosità romane: Hunting Pollution, la street art di Iena Cruz all’Ostiense pulisce l’aria e combatte l’inquinamento.

Un nuovo polmone verde per la capitale, il murale mangia-smog più esteso d’Europa, è grande come un bosco di 30 alberi, e porta Roma a ricoprire un ruolo leader tra le capitali europee.

Un esempio di “street art rigenerativa” con una superficie di 1000 metri quadrati, realizzato con una la pittura Airlite, ecologica, anti inquinamento e in grado di ripulire l’aria dagli ossidi d’azoto emessi dalle auto, dal benzene e dalla formaldeide. Dodici metri quadrati di questa vernice possono eliminare l’inquinamento prodotto in un giorno da un’auto. Inoltre, agisce contro il fumo di sigaretta, i cattivi odori e i batteri resistenti agli antibiotici.

Un murale da Guinness che si chiama ‘Hunting pollution’ ed è stato realizzato, sull’intero angolo di un palazzo, dall’artista Federico Massa (alias Iena Cruz) al quartiere Ostiense, zona già nota in città per le sue opere di street art.

Il murale rappresenta un airone tricolore e ha una doppia chiave di lettura: da una parte l’animale inconsapevole cattura la sua preda in un mare decisamente inquinato, dall’altra sarà lui stesso a cacciare l’inquinamento da uno degli incroci più trafficati e inquinati della capitale grazie all’utilizzo delle eco-pitture.

L’artista milanese, con esperienze tra New York, Miami e Barcellona, non è nuovo a questi temi: da qualche anno i suoi lavori denunciano proprio i rischi del cambiamento climatico e le minacce alle specie in via d’estinzione.

L’arte diventa, nelle sue opere, il tramite del racconto sulle azioni degli esseri umani e sulle ripercussioni che queste hanno su natura e regno animale.

Il suo lavoro è il primo di una serie in un percorso di awareness e sensibilizzazione sui temi della sostenibilità ambientale, attraverso l’utilizzo delle più moderne espressioni del linguaggio artistico volto alla fusione tra arte sostenibile e comunità culturali per coinvolgere artisti, designer e illustratori e dare vita a un movimento partecipativo dedicato a chi vuole mettere la creatività al servizio di un bene collettivo: l’aria che respiriamo.

Un bellissimo segnale di speranza.

Fonte: TurismoRoma

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Lizzie Siddal, il grande amore di Dante Gabriel Rossetti

14 Nov

Curiosità artistiche: Lizzie Siddal, il grande amore di Dante Gabriel Rossetti tra depressione, dipendenza da laudano, sospetto suicidio ed esumazioni notturne.

Elizabeth Eleanor Siddal, conosciuta anche con il diminutivo Lizzy o Lizzie (Londra, 25 luglio 1829 – Londra, 11 febbraio 1862), è stata una modella, poetessa e pittrice inglese.
Impiegata inizialmente come modista, la Siddal divenne in breve tempo la modella preferita di alcuni dei più famosi pittori dell’epoca, i preraffaelliti: ella, infatti, impersonava perfettamente la loro idea di femminilità. Fu Walter Howell Deverell che la scoprì e che la presentò al circolo dei Preraffaelliti, portandola via da una famiglia che non voleva per lei un futuro artistico. Posò anche per William Holman Hunt e John Everett Millais, ma fu modella fissa per Dante Gabriel Rossetti, di cui si innamorò e che sposò nel 1860.

Posando per l’Ofelia di Millais (1852), la Siddal fu costretta a rimanere a lungo immersa in un vasca da bagno, per rappresentare la morte del personaggio shakespeariano. La sua resistenza fu notevole, anche quando si ruppe una delle lampade che servivano a riscaldare l’acqua: la modella, tuttavia, fu colpita da una bronchite che le minò la salute. Suo padre ritenne responsabile Millais e cercò di fargli sborsare un adeguato indennizzo.
La salute cagionevole della donna, però, potrebbe essere anche attribuita all’uso che ella faceva del laudano, una sostanza stupefacente di uso medico che veniva usata anche come droga.

Una volta diventata la modella di Dante Gabriel Rossetti, prima ancora che moglie, la Siddal cominciò a studiare con lui. Malgrado il pittore cercasse sempre di ritrarla bella e dolce, in realtà la donna aveva un carattere forte e deciso, come traspare dai propri autoritratti: non era quella donna eterea che i pittori amavano idealizzare.

Nel 1855 il critico d’arte John Ruskin si offrì di pagare bene per tutte le opere artistiche prodotte dalla Siddal, che in realtà si limitavano a molti schizzi e ad un solo dipinto, che verteva sui temi medievali delle leggende arturiane. Ruskin, comunque, fu colpito dalla donna e scrisse a Rossetti una lettera in cui lo esortava a non rinviare oltre il matrimonio con la Siddal, per darle quella sicurezza di cui aveva bisogno. Rossetti, invece, aveva paura a presentare ai propri genitori la Siddal, poiché era di umili origini. Già le sorelle del pittore, Maria Francesca e Christina, avevano avuto parole di fuoco per la donna, ed il timore che i genitori potessero imporre un veto alle nozze, fece sì che egli attese molti anni ancora prima di chiedere in sposa la modella. Quest’ultima, sembra, credette che ci fosse una “musa” più giovane nel cuore del pittore, e questo accentuò la sua già presente malinconia.

La Siddal viaggiò molto per motivi di salute. Quando nel 1860 sposò finalmente Rossetti, aveva alle spalle già molte delusioni: il pittore fissava infatti la data delle nozze e poi all’ultimo secondo la rinviava. Lo stress di questo comportamento accentuò lo stato depressivo di cui la donna soffrì per tutta la vita.
Nel 1861, diede alla luce un bambino nato morto. Dalla depressione scaturita da quest’evento, la donna non si riprese più: il marito, poco tempo dopo, la trovò morta nel suo letto.
Malgrado il referto medico parlasse di “morte accidentale”, dovuta cioè ad un’errata valutazione della dose di laudano da assumere, Rossetti capì che si trattava di suicidio. Si confidò con l’amico pittore Ford Madox Brown, il quale gli consigliò di bruciare la lettera d’addio della moglie che il pittore aveva trovato. Il suicidio, all’epoca, oltre ad essere considerato immorale era anche illegale: lo scandalo avrebbe travolto tutta la famiglia di Rossetti e alla Siddal sarebbe stata negata la sepoltura in terra consacrata.

Nella tomba, insieme al corpo della Siddal, il marito fece porre anche l’unica copia dei manoscritti d’amore che lo stesso Rossetti aveva dedicato alla Siddal, scritti nel corso degli anni: il quaderno che li conteneva venne infilato fra i suoi capelli rossi.
Nel 1869 Rossetti, piegato da alcool e droga e convinto di diventare cieco, fu ossessionato dal desiderio di pubblicare le proprie poesie accompagnate da quelle della moglie. Insieme al proprio agente Charles Augustus Howell, ottenne il permesso di aprire la tomba della Siddal per recuperare il quaderno di poesie: il tutto venne svolto di notte, per evitare lo sdegno della gente. Howell (che viene ricordato come noto mentitore) raccontò che il corpo della Siddal aveva mantenuto intatta la propria bellezza, e che i capelli avevano continuato a crescerle a dismisura.

Rossetti pubblicò quindi le proprie poesie insieme a quelle della moglie. A causa di alcuni temi erotici, però, l’opera venne male accolta dalla critica. È comunque del 1906 la prima raccolta “in solitaria” delle poesie della Siddal, ed esattamente cento anni dopo, sul finire cioè del 2006, queste composizioni furono per la prima volta tradotte in italiano da Conny Stockhausen.

Fonte: Wikipedia

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Jane Burden, la musa dei Preraffaelliti

10 Ott

Curiosità artistiche: Jane Burden (Oxford, 19 ottobre 1839 – Bath, 26 gennaio 1914) è stata una modella inglese che ha incarnato l’ideale di bellezza dei preraffaelliti. Fu la musa di William Morris (che sposò nel 1859) e di Dante Gabriel Rossetti.

Nacque ad Oxford, figlia di uno stalliere. Poco si sa della sua infanzia, eccetto che fu povera.

Nell’ottobre 1857, quando stava assistendo ad uno spettacolo teatrale con la sorella Elisabeth, fu notata dall’artista Dante Gabriel Rossetti, che – colpito dalla sua bellezza – la convinse a posare come sua modella. Posò poi per William Morris (la prima volta per La Belle Iseult), ed i due si fidanzarono. Dopo il fidanzamento fu educata privatamente, e divenne un’accanita lettrice, anche in francese e più tardi in italiano, ed una pianista di buon livello. Si sposarono ad Oxford il 26 aprile 1859, ed ebbero due figlie: Jane (nata nel 1861) e Mary, detta May (nata nel 1862), futura editrice delle opere del padre. La famiglia visse a lungo a Kelmscott Manor, nel villaggio di Kelmscott, West Oxfordshire. Furono tanto legati a questa residenza che Morris chiamò Kelmscott House anche la residenza londinese, dove la famiglia si trasferì nel 1879 e dove l’artista morì nel 1896.

Negli anni fu sempre molto legata a Rossetti, che la ritrasse numerose volte.
Nel 1884 incontrò il poeta ed attivista Wilfrid Scawen Blunt, che divenne tre anni più tardi il suo amante. I due rimasero in ottimi rapporti di amicizia anche dopo la fine della relazione, nel 1894.
La Burden morì nel 1914, quando si trovava a Bath.

Oltre che da Rossetti e dal marito, Jane Burden fu ritratta anche da Edward Burne-Jones e Evelyn De Morgan.

Fonte: Wikipedia

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Destino, il film di Salvador Dalì e Walt Disney

19 Set

Curiosità artistiche: Salvador Dalì ha creato un film con Walt Disney.

Destino è un cortometraggio a cartoni animati, della durata di 6:32 minuti, cominciato da Walt Disney e Salvador Dalì, completato ed infine prodotto nel 2003 dalla Walt Disney Company.

In un viaggio surreale, una principessa ballerina è alla ricerca del suo amore nei surreali spazi del deserto.
L’idea originale del film risale al 1945; il progetto era il risultato della collaborazione tra l’animatore statunitense Walt Disney e il pittore surrealista spagnolo Salvador Dalí, con le musiche eseguite dal compositore messicano Armando Dominguez o, in una versione alternativa, dalla canzone Widower del gruppo americano The Dillinger Escape Plan.

I disegni e i bozzetti preparativi di Destino vennero realizzati dall’artista degli studios della Disney John Hench e dallo stesso Dalí in otto mesi, tra il 1945 e il 1946. Tuttavia, a causa di problemi di natura finanziaria, il progetto fu abbandonato: la Walt Disney, infatti, fu colpita da una crisi economica durante la Seconda guerra mondiale. John Hench produsse un piccolo test d’animazione della durata di circa 18 secondi, nella speranza di un futuro recupero del progetto.

Nel 1999, il nipote di Walt Disney, Roy Edward Disney, mentre stava lavorando per la realizzazione di Fantasia 2000, rispolverò il progetto di Destino e decise di ripristinarlo; per il completamento del cortometraggio vennero incaricati gli studios Disney di Parigi. Il film fu prodotto da Baker Bloodworth e diretto dall’animatore francese Dominique Monfrey, per la prima volta nelle vesti di regista. Un team di circa 25 animatori si diede da fare per decifrare gli storyboard criptici di Dalí ed Hench (avvalendosi anche dei diari scritti dalla moglie di Dalì, Gala). Alla fine il risultato fu un cortometraggio in cui sono mescolati elementi di animazione classica a ritocchi apportati con la computer grafica.

Fonte: Wikipedia

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La Scarzuola, la città-teatro di Tomaso Buzzi come città ideale

13 Set

Idee per una gita fuori porta: la Scarzuola, la città-teatro costruita da Tomaso Buzzi a Montegabbione come città ideale.

Nella seconda metà del Novecento, più precisamente nel dicembre 1957, l’architetto milanese Tomaso Buzzi acquisì la proprietà dell’intero complesso, creandovi accanto una “città ideale” che lo rappresentasse, una vera e propria allegoria escatologica dell’esistenza, adottando il linguaggio ermetico caratteristico dell’aristocrazia massonica del Settecento.

Dal 1958 al 1978, l’architetto progettò e costruì, nella valletta dietro al convento, una grande scenografia teatrale che egli definì “un’antologia in pietra”, rimasta volontariamente incompiuta, che permise il recupero di esperienze visive del passato: Villa Adriana per la palestra, piscina, terme eccetera, Villa d’Este (Tivoli) per la Rometta dell’architetto-archeologo Pirro Ligorio, i sette edifici nell’Acropoli (Partenone, Colosseo, Pantheon, Piramide, Torre dei Venti, Tempio di Vesta, la torre dell’orologio di Mantova); Bomarzo per l’effetto di gioco e meraviglia (barca, Pegaso, mostro). Solo in funzione teatrale sono pienamente legittimate le costruzioni fuori tempo, le false rovine, le città ideali. L’aggancio in tema di scenografia è quello di modelli rinascimentali di Andrea Palladio, Vincenzo Scamozzi e Sebastiano Serlio.

Il complesso si sviluppa dentro una spirale formata dai pergolati. All’interno di questi vi è un asse verticale che dalla statua scheletrica del Pegaso, attraverso un sistema di terrazzamenti, conduce a un anfiteatro, gradualmente al teatro agnostico, al teatro erboso, per finire alla torre colonna rotta e a un asse orizzontale delimitato a sinistra dal teatro delle api, al centro dal palcoscenico con labirinto musicale, e a destra dalla città Buzziana con al culmine l’Acropoli. Una contraddittoria relazione di tipo iniziatico viene a stabilirsi tra l’antico convento e le intellettualistiche fabbriche del teatro, sovraccariche di simboli e segreti, di riferimenti e di citazioni: dalle allusioni a divinità sia pagane sia cristiane, ai ricordi delle Ville di Plinio, al “AB OLIMPO” di Montagna, al Hypnerotomachia Poliphili di Frate Colonna, alle idee non concretate di Francesco Borromini e Filarete.

La complessa simbologia creata da Buzzi permette di individuare una seconda interpretazione dell’intero complesso urbano. L’intricato percorso iniziatico, che si dipana tra gli edifici della città, rappresenta un confronto con l’inconscio e si completa attraverso una serie di incontri con figure archetipiche, secondo il modello di individuazione sviluppato da C. J. Jung. L’incontro con le figure che popolano la città, simboleggianti i diversi aspetti della psiche, porta gradualmente il visitatore a una maggiore consapevolezza di sé, in un metaforico percorso di rinascita che scende nelle parti più profonde e buie dell’inconscio per poi arrivare all’Acropoli, simbolo della piena realizzazione del Sé.

Lo stile che meglio interpreta l’ansia di licenza di Buzzi è il neo-manierismo che egli identifica anche nell’uso di scale e scalette in tutte le dimensioni, allungamenti di membrature architettoniche, varietà di modi alla rustica, un po’ di mostri, volute sproporzioni di alcune parti, statue verdi all’Arcimboldi, affastellamento di edifici, di monumenti, un che di labirintico che arriva a un certo surrealismo, di evocativo, di sinuoso, di antropomorfico, di geometrico, astronomico, magico.

Alla morte di Buzzi, nel 1981, la città era stata realizzata solo in parte ma, grazie agli schizzi lasciati, l’erede Marco Solari terminò l’opera.

Fonte: Wikipedia

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Palazzo Orizzonte Europa sulla Tiburtina, sede della BNL

23 Ago

Curiosità romane: il suggestivo Palazzo Orizzonte Europa sulla Tiburtina, sede della BNL, che espone opere di Lorenzo Lotto, Canaletto, Corot e Schifano.

Inaugurata a luglio del 2017, la nuova sede direzionale di BNL sorge nell’area della Stazione Alta Velocità intitolata a Camillo Benso Conte di Cavour, in zona Tiburtina. L’architettura originale ed innovativa, progettata dallo Studio Architettura 5 + 1AA, ingloba la storica cisterna Mazzoni e ben si integra con il contesto urbano circostante.
Il Palazzo costruito su 75.000 mq. di superficie, è alto 12 piani ed è lungo 255 metri, realizzato secondo i più elevati standard di ecosostenibilità ambientale ed energetica.

All’interno sono state inserite alcune delle più rilevanti opere della collezione BNL, di arte contemporanea e antica, come i lavori fotografici di artisti provenienti dall’esposizione realizzata dalla Banca nel 2013 a Roma: the sea is my Land. Artisti del Mediterraneo (Adrian Paci, Moataz Nasr, Marie Bovo). Tra le altre varie opere esposte, il dipinto Viaggio nei progetti di Mario Schifano, le collezioni dei Cinquanta pittori per Roma, di Lorenzo Lotto Giuditta con la Testa di Oloforne, di Jean-Baptiste- Camille Corot La Cascata delle Marmore, di Antonio Canal detto il Canaletto Capriccio con architetture classiche e rinascimentali, di Antonio Donghi Paesaggio a Pavullo nel Frignano.

Apertura straordinaria: dalle 9.00 alle 10.00 per scuole e gruppi su prenotazione: bnleventistituzionali@bnlmail.com

Il Palazzo è visitabile gratuitamente nelle manifestazioni Invito a Palazzo: visite guidate gratuite nei palazzi storici delle banche solitamente chiusi al pubblico.

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