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Cammini d’Italia, portale e mappa dei cammini

7 Nov

Cammini d’Italia: online la prima mappatura ufficiale dei cammini d’Italia, un contenitore di percorsi e itinerari pensato come una rete di mobilità slow che al momento contiene oltre 40 cammini: ci sono quelli dedicati ai santi, come i cammini francescani, laureatani e benedettini, quelli dedicati ai briganti come il sentiero che attraversa l’Aspromonte, il cammino di Dante che attraversa i luoghi dove Dante visse in esilio e scrisse la Divina Commedia, il sentiero della Pace che ripercorre luoghi e memorie della Prima Guerra Mondiale, e ancora la Via Appia, la Via Francigena, la Via degli Dei, il cammino di San Vicinio, la Via degli Abati, il sentiero Liguria, la Via Romea Germanica, il Sentiero del Dürer e tanti altri.

www.camminiditalia.it è dunque uno strumento per viaggiatori e turisti, una vera e propria infrastruttura intermodale di vie verdi in cui si potrà scegliere la possibilità di muoversi lungo l’Italia a piedi, in bicicletta, a cavallo o con altre forme di mobilità dolce sostenibile, promuovendo una nuova dimensione turistica.

“Sempre più persone partono in viaggio cercando qualcosa in più di una semplice vacanza. L’Atlante dei Cammini – ha dichiarato il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo Dario Franceschini – è pensato per quei viaggiatori che desiderano vivere un’autentica esperienza nel nostro Paese, immergendosi a passo lento in quel patrimonio diffuso fatto di arte, buon cibo, paesaggio e spiritualità che costituisce il carattere originale e l’essenza dell’Italia”.

“L’esperienza dei Cammini d’Italia ha avuto il merito di esaltare lo spirito collaborativo tra il ministero del Turismo e le Regioni italiane in un rinnovato clima di confronto e crescita comune. Partendo da questa importante esperienza, – ha dichiarato il Coordinatore Commissione Turismo e Industria Alberghiera della Conferenza delle Regioni e Province Autonome Giovanni Lolli – le Regioni sono tornate a recitare un ruolo di primo piano nella gestione e organizzazione dell’offerta turistica de mercato italiano.

“Il Comitato, di cui fanno parte il Mibact, le Regioni e l’Anci, ha identificato i Cammini d’Italia, al fine di realizzare l’Atlante Digitale, uno strumento dinamico e in costante aggiornamento. Tra gli undici requisiti necessari per rientrare nell’Atlante, – ha dichiarato il Direttore Generale del Turismo del MiBACT Francesco Palumbo, – sono di particolare importanza la fruibilità dei percorsi, la segnaletica orizzontale e/o verticale, la descrizione online della tappa, i servizi di alloggio e ristorazione entro i 5 km dal Cammino, la manutenzione del percorso garantita dagli Enti locali, la georeferenziazione ed un sito in cui sono raccolte le principali informazioni per i viaggiatori”.

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Cammini d'Italia: online la prima mappatura ufficiale dei cammini d’Italia

Cammini d’Italia: online la prima mappatura ufficiale dei cammini d’Italia

Elfi, Fate, Re e Streghe in Alta Tuscia: il Bosco Incantato del Sasseto

6 Nov

Idee per una gita fuori porta: il Bosco Incantato del Sasseto con lo spettacolo Elfi, Fate, Re e Streghe in Alta Tuscia.

Definito dal National Geographic “il bosco di Biancaneve”e già scenografia di Garrone in Il racconto dei racconti, il suggestivo Bosco del Sasseto di Torre Alfina – Acquapendente (VT), con i suoi imponenti tronchi secolari, torna protagonista di una nuova incursione artistica e teatrale che dal 17 novembre 2019 lo fa animare di elfi, fate, re e streghe.

A partire dalla storia, vera, del Marchese Cahen che volle mantenere l’animo di quest’area verde, unica nel suo genere, non addomesticandola in parco ma mantenendola bosco a tutti gli effetti, il Comune di Acquapendente (VT) dal 17 novembre propone Il Bosco Incantato: rappresentazione itinerante, divertente e al tempo stesso visionaria, destinata a coinvolgere le famiglie in un gioco artistico sulle orme del’elfo Alfin.

Uno spettacolo che si fa esperienza sensoriale attraverso una storia dai risvolti etici e naturalistici, una storia “green” nata per far conoscere ai bambini il patrimonio storico e ambientale della Tuscia e il Bosco del Sasseto, luogo dal fascino unico e antico, una foresta vetusta a pochi chilometri da Roma.

Con il suo flauto, l’elfo Alfin – tra sentieri dove convivono il faggio, l’olmo, il leccio e l’albero della manna, insieme ad altre 30 specie di alberi incastonati fra i massi monolitici ricoperti di muschio – guida i piccoli spettatori alla scoperta delle bellezze del bosco e della storia di un misterioso re, innamorato di una fata e vittima dei malefici di una strega. Il racconto prende le mosse dalla storia del Marchese Edoardo Cahen, che acquisì la proprietà di Torre Alfina alla fine dell’800.

Scrigno di biodiversità di flora e fauna, il Bosco del Sasseto è un gioiello da preservare e tramandare, posto nel territorio di Acquapendente, nell’Alta Tuscia viterbese, attiguo al borgo di Torre Alfina, la cui storia è un tutt’uno con quella del castello medioevale che domina l’intera vallata. Lo stesso castello, così come il suggestivo Museo del Fiore, sono visitabili tutti i fine settimana.

In una località dove si respira l’aurea magica di natura e storia, patrimonio da valorizzare e far conoscere a tutti, Il Bosco Incantato, scritto e diretto da Francesco Cerra, diventa una visita teatralizzata a tutti gli effetti, un esempio virtuoso di valorizzazione del territorio, in grado di coniugare due anime dell’intrattenimento culturale: quella legata al racconto di un luogo esplorandone gli aspetti storico-culturali e quella dell’arte performativa “incastonata” in scenografie naturali intatte e di rara bellezza.

Con Il Bosco Incantato, l’appuntamento è a partire dal 17 novembre 2019 alle ore 11.00 con repliche successive che verranno comunicate prossimamente. Punto di ritrovo Piazza S. Angelo, 19 Torre Alfina presso la biglietteria  Bosco Monumentale del Sasseto.

Sono consigliate scarpe comode.

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La Scarzuola, la città-teatro di Tomaso Buzzi come città ideale

13 Set

Idee per una gita fuori porta: la Scarzuola, la città-teatro costruita da Tomaso Buzzi a Montegabbione come città ideale.

Nella seconda metà del Novecento, più precisamente nel dicembre 1957, l’architetto milanese Tomaso Buzzi acquisì la proprietà dell’intero complesso, creandovi accanto una “città ideale” che lo rappresentasse, una vera e propria allegoria escatologica dell’esistenza, adottando il linguaggio ermetico caratteristico dell’aristocrazia massonica del Settecento.

Dal 1958 al 1978, l’architetto progettò e costruì, nella valletta dietro al convento, una grande scenografia teatrale che egli definì “un’antologia in pietra”, rimasta volontariamente incompiuta, che permise il recupero di esperienze visive del passato: Villa Adriana per la palestra, piscina, terme eccetera, Villa d’Este (Tivoli) per la Rometta dell’architetto-archeologo Pirro Ligorio, i sette edifici nell’Acropoli (Partenone, Colosseo, Pantheon, Piramide, Torre dei Venti, Tempio di Vesta, la torre dell’orologio di Mantova); Bomarzo per l’effetto di gioco e meraviglia (barca, Pegaso, mostro). Solo in funzione teatrale sono pienamente legittimate le costruzioni fuori tempo, le false rovine, le città ideali. L’aggancio in tema di scenografia è quello di modelli rinascimentali di Andrea Palladio, Vincenzo Scamozzi e Sebastiano Serlio.

Il complesso si sviluppa dentro una spirale formata dai pergolati. All’interno di questi vi è un asse verticale che dalla statua scheletrica del Pegaso, attraverso un sistema di terrazzamenti, conduce a un anfiteatro, gradualmente al teatro agnostico, al teatro erboso, per finire alla torre colonna rotta e a un asse orizzontale delimitato a sinistra dal teatro delle api, al centro dal palcoscenico con labirinto musicale, e a destra dalla città Buzziana con al culmine l’Acropoli. Una contraddittoria relazione di tipo iniziatico viene a stabilirsi tra l’antico convento e le intellettualistiche fabbriche del teatro, sovraccariche di simboli e segreti, di riferimenti e di citazioni: dalle allusioni a divinità sia pagane sia cristiane, ai ricordi delle Ville di Plinio, al “AB OLIMPO” di Montagna, al Hypnerotomachia Poliphili di Frate Colonna, alle idee non concretate di Francesco Borromini e Filarete.

La complessa simbologia creata da Buzzi permette di individuare una seconda interpretazione dell’intero complesso urbano. L’intricato percorso iniziatico, che si dipana tra gli edifici della città, rappresenta un confronto con l’inconscio e si completa attraverso una serie di incontri con figure archetipiche, secondo il modello di individuazione sviluppato da C. J. Jung. L’incontro con le figure che popolano la città, simboleggianti i diversi aspetti della psiche, porta gradualmente il visitatore a una maggiore consapevolezza di sé, in un metaforico percorso di rinascita che scende nelle parti più profonde e buie dell’inconscio per poi arrivare all’Acropoli, simbolo della piena realizzazione del Sé.

Lo stile che meglio interpreta l’ansia di licenza di Buzzi è il neo-manierismo che egli identifica anche nell’uso di scale e scalette in tutte le dimensioni, allungamenti di membrature architettoniche, varietà di modi alla rustica, un po’ di mostri, volute sproporzioni di alcune parti, statue verdi all’Arcimboldi, affastellamento di edifici, di monumenti, un che di labirintico che arriva a un certo surrealismo, di evocativo, di sinuoso, di antropomorfico, di geometrico, astronomico, magico.

Alla morte di Buzzi, nel 1981, la città era stata realizzata solo in parte ma, grazie agli schizzi lasciati, l’erede Marco Solari terminò l’opera.

Fonte: Wikipedia

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Ostia Antica: riapre il Castello di Giulio II

14 Mar

Il Castello di Giulio II ad Ostia Antica è stato finalmente riaperto al pubblico.

AGGIORNAMENTO 2018:

  • riapre alla fruizione del pubblico dal 7 luglio al 16 dicembre 2018 ogni sabato e domenica e giorni festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00 (ultimo ingresso orario estivo ore 16:30)
  • l’ingresso è gratuito
  • le visite sono accompagnate con partenza alle ore 10:30, 12:00, 14:30 e 16:30 per un numero massimo di 20 persone per volta
  • la prenotazione avviene direttamente sul posto (la lista si chiude raggiunto il numero massimo stabilito)

    I visitatori potranno apprezzare ogni fase costruttiva dell’antico maniero e godere di un magnifico quanto singolare giro d’orizzonte sull’intero territorio circostante, si invita ad accedere alla struttura con calzature adeguate (no tacchi, no infradito) e vestiti comodi, rispettare le indicazioni fornite dal personale e le modalità di fruizione comunicate prima dell’inizio della visita, seguire i percorsi aperti al pubblico, controllare costantemente i bambini e tenerli per mano.
    Si fa presente che i percorsi possono risultare particolarmente difficoltosi per persone con necessità speciali

Rimasto vuoto e silenzioso per molti anni, domenica 12 marzo 2017 il castello di Giulio II a Ostia Antica ha riaperto in pianta stabile i cancelli a turisti e cittadini.
Il Castello fu voluto fra il 1483 e il 1486 dal cardinale Giuliano della Rovere – il futuro papa Giulio II – come elemento nevralgico di un sistema difensivo a salvaguardia della foce Tevere, una delle principali vie d’accesso a Roma. Esso fu progettato da un allievo e seguace di Leon Battista Alberti, il fiorentino Baccio Pontelli, inglobando alcune strutture dell’antico nucleo di Ostia. A distanza di qualche anno l’aggiunta di raffinati corredi decorativi e di soluzioni tecnologicamente all’avanguardia – basti pensare al sistema termale – lo rese adatto a ospitare lo stesso Giulio II. Grazie alla sostanziale integrità, il castello costituisce oggi un esempio rimarchevole di architettura fortificata del Rinascimento.

Nell’ottobre 2016 il monumento è passato in gestione al Polo Museale del Lazio. Sotto il coordinamento dell’architetto Gabriella Musto hanno avuto subito inizio accurate operazioni di analisi, manutenzione e adeguamento delle strutture, appunto in vista della riapertura. Una particolare cautela è stata rivolta al ‘mastio’, ovvero al possente bastione che svetta sul circuito delle mura, e alla zona sottostante, che ospita appunto il sistema termale di papa Giulio II.

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Memorie Urbane: festival di street art in 8 città italiane

30 Apr

Il più grande festival di street art mai realizzato in Italia, 40 artisti, 8 città, 4 province e 2 regioni unite sotto un unico manifesto: Memorie Urbane.

Trasformare le zone più trascurate delle città in un museo a cielo aperto, accessibile a tutti.
Portare l’arte contemporanea nelle strade e metterla in contatto con il territorio, per stimolare un processo di interazione e contaminazione reciproca.
L’arte come strumento per riscoprire le nostre città e ridare nuovo risalto a spazi che sono solitamente abbandonati e privi di una qualificazione.
Questa l’intuizione alla base di Memorie Urbane, il festival di street art che coinvolge ben 9 città sparse in quattro Province Latina, Frosinone, Caserta, Roma dislocate in due regioni, Lazio e Campania. Gaeta, Terracina, Fondi, Arce, Latina, Priverno, Caserta e Valmontone saranno lo scenario di questo imponente “laboratorio artistico a cielo aperto” – degno delle principali capitali europee – che si svolgerà tra marzo e giugno in un’inedita esplosione di colori.

40 sono infatti gli ospiti provenienti da 13 paesi e 3 continenti: Italia, Lituania, Inghilterra, Polonia, Spagna, Norvegia, Portogallo, Grecia, Germania ma anche Brasile, Argentina, Russia, Cina e Stati Uniti, di cui la metà non ha mai dipinto in Italia.
Dalla Germania: 1010, ALIAS; Ecb Hendrik Beikirch conosciuto tra le altre cose per aver realizzato il muro più alto del mondo; Case della crew Maclaim.
Dalla Francia: Shaka, Kan, Levalet, Jana e J’s e Ella & Pitr, famosi – questi ultimi – per le loro opere monumentali dipinte sulle terrazze e su enormi piazzali. Così come da Oltralpe giunge a Memorie Urbane MTO, tra gli artisti più controrversi del momento.
Ancora, dall’Inghilterra atterra David Walker, storico street artist e che ha realizzato per Atac un biglietto in occasione dell’edizione “biglietti d’autore” 2014.
Per la prima volta in Italia anche Adomas Žudys / AWK (Lituania), Apolo Torres (Brasile), Bezt(Polonia), Pichiavo (Spain), Doa (Spain), Sema Lao (Francia), Ino (Grecia), Milu Corech (Argentina) e Stein (Norvegia).
E non si fermano qui i tanti i nomi europei e internazionali ospitati in questa edizione.
Dalla Spagna: Btoy, Pablo S Herrero e David De La Mano.
Dal Portogallo: Eime e Frederico Draw, Ernest Zacharevic dalla Lituania e Natalia Rak dalla Polonia.
Dall’Argentina: Pastel, Bosoletti, Elian. Ancora: Martha Cooper dagli Stati Uniti; Alexey Luka dalla Russia .
Non manca un pizzico d’Italia: da Vesod a Pixel Pancho, passando per 108, Eduardo Tresoldi, Fra Biancoshock e Millo.

Le mostre:
Martha Cooper, nella Pinacoteca di arte contemporanea Giovanni da Gaeta dal 29 marzo al 17 maggio. La fotografa americana, riferimento della scena artistica underground new yorkese, ha seguito il movimento dell’arte in strada sin dalle sue origini negli anni ’70.
Pichiavo, alla Galleria Basement Project Room di Fondi dal 7 Marzo al 4 maggio.
Levalet, in Aus+Galerie a Latina dal 30 Aprile al 27 Maggio e infine Eime dal 7 Maggio al 7 Giugno alla Galleria Square23 di Torino.

Importante novità di questa edizione l’uso della più moderna tecnologia che consente al Festival di realizzare quel concetto di museo a cielo aperto a cui da sempre si è ispirato. Oltre ad aver applicato su tutti i muri realizzati targhe con le informazioni degli artisti e degli enti promotori, quest’anno con l’APP URBACOLORS dei francesi urbamedia (scaricabile su App Store e Google Play), ci sarà la possibilità di geolocalizzare i muri.

Altro passaggio importante è la partnership con Techmoving e il suo sistema KoinArt: l’inserimento di un microchip all’interno della targa dell’opera renderà possibile – solo appoggiando lo smartphone alla parete – avere accesso a tutte le informazioni sull’opera e il territorio.

Giunto alla sua quarta edizione, con oltre 90 muri già realizzati, quest’anno Memorie Urbane non nasconde le proprie ambizioni e aumenta il numero di artisti, eventi e collaborazioni. Degna di nota la partnership con il festival della capitale lituana Vilnius street art.

Memorie Urbane nasce nel 2011 da un’idea di Davide Rossillo, presidente di  Turismo Creativo, da sempre sostenitore dell’arte contemporanea come elemento di dinamismo culturale e strategia di crescita socio-economica, culturale e turistica. Il Festival, noto ormai per aver portato l’arte urbana a Gaeta e Terracina, le prime città che hanno aderito all’iniziativa, si muove in continuità con il patrimonio storico, artistico e naturale del territorio e lo sottolinea anche nel nome che ci si è scelti: Memorie Urbane, che rievoca quanto la “memoria” sia considerata fondamentale come punto di partenza, pur in un processo innovativo proiettato verso il futuro.

Per info: info@memorieurbane.it | +39.0771.460978 | +39.349.0567388
Ufficio stampa Memorie Urbane
Antonella Bartoli | bartoli.anto@gmail.com | 339 7560222
Giulia Di Giovanni | giulidigi@gmail.com | 334 1949036

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Terminato il restauro della Piramide Cestia

21 Apr

Dopo 327 giorni di lavoro e 2 milioni di euro finanziati dal mecenate giapponese Yuzo Yagi, la Piramide Cestia torna alla città. Un restyling che ha visto al lavoro, su una superficie di oltre 2200 mq di marmo di Carrara, restauratori, archeologi, architetti, strutturisti, chimici e meccanici della Soprintendenza Speciale per l’Area archeologica di Roma e dell’ISCR (Istituto Superiore per il Restauro).

Nell’ambito dei lavori, si è intervenuti per mettere al riparo dalle infiltrazioni d’acqua i dipinti della camera sepolcrale interna e per mettere in sicurezza con apparecchi in acciaio inossidabile, progettati espressamente per questo restauro, il rivestimento in blocchi di marmo.

Il restauro del monumento, fatto realizzare da Caio Cestio nel I secolo a.C., è stato inaugurato alla presenza dello stesso Yagi, del sindaco Ignazio Marino, dell’assessore capitolino alla Cultura Giovanna Marinelli,dai sottosegretari ai Beni culturali, Francesca Barracciu e agli Esteri, Benedetto Della Vedova alla presenza dell’ambasciatore del Giappone Kazuyoshi Umemoto. “È un giorno di felicità e festa per Roma – ha detto Marino – e ringrazio Yuzo Yagi per la sua generosità e la sua filantropia”. Il Sindaco ha poi accennato al progetto di pedonalizzazione dell’area: “Considerando che è un nodo importante per la città, ci sono molti aspetti che devono essere valutati con attenzione”.

Fonte: Comune di Roma

VISITE GUIDATE ALLA PIRAMIDE CESTIA

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APPasseggio: un’app gratuita per passeggiate culturali

16 Apr

APPasseggio è un’iniziativa nata nel 2012 per promuovere attivamente la cultura della passeggiata, la conoscenza del territorio, l’interazione con le comunità locali e l’esercizio fisico per il benessere della mente, dello spirito e della salute.

Attraverso quest’applicazione per iPhone, iPad e Android, potrai percorrere a piedi, in bicicletta, in autobus, itinerari culturali (storici, archeologici, artistici, letterari, etnografici, naturalistici…) individuati e descritti da una redazione qualificata composta da esperti che da anni operano nel settore dei beni culturali.

Ogni itinerario è composto da:

  • informazioni pratiche e d’inquadramento generale (welcome, scheda riassuntiva e mappa georeferenziata)
  • una serie di punti d’interesse (POI), anch’essi georeferenziati, selezionati in quanto elementi caratterizzanti la passeggiata culturale
  • risorse digitali associate ai punti d’interesse da fruire prima, durante e dopo la passeggiata (audioguide, interviste, narrazioni di storie, letture, brani musicali, filmati, testi, immagini).

Dopo aver installato l’APP sul tuo dispositivo mobile, potrai aggiornarla periodicamente per verificare se sono disponibili nuovi itinerari di tuo interesse. Una volta selezionato l’itinerario, potrai scaricare le relative risorse digitali, che saranno disponibili anche in assenza di connessione a Internet.

SITO UFFICIALE

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Il Giardino dei Tarocchi a Capalbio, creato da Niki de Saint Phalle

24 Feb

Idee per una gita fuori porta: il Giardino dei Tarocchi a Capalbio, creato da Niki de Saint Phalle.

Il Giardino dei Tarocchi è un parco artistico situato in località Garavicchio, nei pressi di Pescia Fiorentina, frazione comunale di Capalbio (GR) in Toscana, Italia, ideato dall’artista franco-statunitense Niki de Saint Phalle, popolato di statue ispirate alle figure degli arcani maggiori dei tarocchi.

 

Seguendo l’ispirazione avuta durante la visita al Parque Guell di Antoni Gaudí a Barcellona, poi rafforzata dalla visita al giardino di Bomarzo, Niki de Saint Phalle inizia la costruzione del Giardino dei Tarocchi nel 1979. Identificando nel Giardino il sogno magico e spirituale della sua vita, Niki de Saint Phalle si è dedicata alla costruzione delle ventidue imponenti figure in acciaio e cemento ricoperte di vetri, specchi e ceramiche colorate, per più di diciassette anni, affiancata, oltre che da diversi operai specializzati, da un’équipe di nomi famosi dell’arte contemporanea come Rico Weber, Sepp Imhof, Paul Wiedmer, Dok van Winsen, Pierre Marie ed Isabelle Le Jeune, Alan Davie, Marina Karella e soprattutto dal marito Jean Tinguely, scomparso nel 1991, che ha creato le strutture metalliche delle enormi sculture e ne ha integrate alcune con le sue mécaniques, assemblaggi semoventi di elementi meccanici in ferro.
All’opera hanno collaborato anche Ricardo Menon, amico ed assistente personale di Niki de Saint Phalle anch’egli scomparso pochi anni or sono, e Venera Finocchiaro, ceramista romana; le sculture più piccole del Giardino (la Temperanza, gli Innamorati, il Mondo, l’Eremita, l’Oracolo, la Morte e l’Appeso), realizzate a Parigi con l’aiuto di Marco Zitelli, sono state poi prodotte in poliestere da Robert, Gerard e Olivier Haligon.
L’architetto ticinese Mario Botta, in collaborazione con l’architetto grossetano Roberto Aureli, ha disegnato il padiglione di ingresso – uno spesso muro di recinzione con una sola grande apertura circolare al centro, pensato come una soglia che divida nettamente il Giardino dalla realtà quotidiana.
Terminata solo nell’estate del 1996, la realizzazione del Giardino ha comportato, oltre ad un enorme lavoro di impianto, una spesa di circa 10 miliardi di lire interamente autofinanziati dall’autrice.
Nel 1997 Niki de Saint Phalle ha costituito la Fondazione Il Giardino dei Tarocchi il cui scopo è quello di preservare e mantenere l’opera realizzata dalla scultrice. Il 15 maggio 1998 il Giardino dei Tarocchi è stato aperto al pubblico.

Le sculture ispirate agli arcani maggiori dei Tarocchi, dense quindi di significati simbolici ed esoterici, sono l’ultima tappa di un percorso artistico iniziato da Niki de Saint Phalle a metà degli anni Sessanta, dopo aver abbandonato il Nouveau Réalisme e gli assemblaggi polimaterici per la creazione delle cosiddette “Nanas”, enormi, sinuose figure femminili percorribili ed abitabili, la prima delle quali – la Hon – venne realizzata nel 1966 per il Museo di Stoccolma e la più famosa delle quali, la Tête, fu terminata nel 1973 nel bosco di Milly-la-Foret in Francia e dichiarata monumento nazionale dal presidente Mitterrand.
Nei colori intensi e vivacissimi, nella “spasmodica dilatazione delle forme e nella solarità ispirata ai maestri del cromatismo, da Matisse a Picasso, da Kandinskij a Klee”, le corpose, esplosive sculture del Giardino dei Tarocchi, rivestite di un “abito di luce che trasforma le varie figure personalizzate in una favolosa successione di parure neobarocche”, rapiscono “l’attenzione e i sensi dello spettatore”, che, lungi dal percorrere un parco di divertimenti, compie una sorta di percorso iniziatico che si richiama ad illustri precedenti – Bomarzo, il Palazzo Ideale di Ferdinand Cheval nella Drome, il Parco Guell, le Torri di Watts di Simon Rodia di Los Angeles – ma che è connotato soprattutto dalla presenza di un Femminile materno e potente, carico di complessità simbolica e di “non casuali connessioni (…) con i “calvari” psichici e fisici” dell’autrice.

Ubicazione
Il Giardino sorge sul versante meridionale della collina di Garavicchio, nella Maremma toscana. L’opera, dilatata su circa 2 ettari di terreno, costituisce una vera e propria “città” in cui le sculture-case segnano le tappe del percorso spiccando coloratissime già dalla strada nel selvaggio paesaggio naturale. Ai piedi della collina di Garavicchio, l’accesso al Giardino è letteralmente sbarrato dalla lunga muraglia del padiglione d’ingresso creato da Mario Botta, costituito da un doppio muro di recinzione in tufo con una sola grande apertura circolare al centro, chiusa da una cancellata. Lo stesso Botta ha dichiarato che nel disegno dell’ingresso ha cercato di interpretare il sentimento di “separazione” tra il Giardino ed il mondo esterno che Niki de Saint Phalle chiedeva: il muro è inteso quindi come una “soglia”, da varcare per entrare in una “pausa magica” nettamente divisa dalla realtà di tutti i giorni. Nel progetto, il muro ha preso sempre più spessore per essere attrezzato, all’interno, con i servizi richiesti da un’attività si transito; i due lunghi setti murari paralleli sono così separati da uno spazio, pavimentato in porfido, che accoglie, ai lati dell’apertura circolare, i gabbiotti in metallo e vetro per la biglietteria ed il piccolo negozio.

La piazza centrale
Varcata la soglia, la strada sterrata sale fino alla grande piazza centrale occupata da una vasca e sovrastata dalle figure unite della Papessa e del Mago, i primi arcani maggiori dei Tarocchi che segnano l’inizio del percorso. Circondata dal verde e dalle sinuose panchine di Pierre Marie Le Jeune, la piazza, sorta di grande anfiteatro sovrastato dalle altre, coloratissime sculture, comunica immediatamente quell’impressione di inquietudine ed incantesimo, di fascinazione, di gioco, di splendida visionarietà che anima l’intero Giardino. La vasca circolare in cui si raccolgono le acque sgorganti a cascata dalla scalinata che procede dalla enorme bocca aperta della Papessa, chiara reminiscenza dell’Orco di Bomarzo e ideale legame con i giochi d’acqua di Villa d’Este è segnata al centro dalla Ruota della Fortuna, la scultura meccanica semovente eseguita da Jean Tinguely. Le strade che si dipartono dalla piazza percorrono itinerari diversi che seguono le sinuosità del terreno, salendo o scendendo lungo il costone. Anche le strade giocano nell’opera un ruolo fondamentale: sul cemento che le ricopre, infatti, Niki de Saint Phalle ha inciso indelebilmente appunti di pensiero, memorie, numeri, citazioni, disegni, messaggi di speranza e di fede, snodando un percorso che ancora una volta non è solo fisico ma soprattutto spirituale. Sul costone destro, la piccola scalinata che sale dalla piazza passa sotto la figura del Sole, incarnato nel grande uccello del fuoco, bianco, rosso e giallo, appollaiato sopra un grande arco azzurro, nel quale è evidente il richiamo alla iconografia degli indiani d’America. Immediatamente dopo il Sole, ecco il Papa, opera preferita di Tinguely che ne saldò la struttura “in solitaria” e che adotta la tecnica filiforme detta skinny.
Interno della Torre con mosaico di specchi

 

L’Albero della Vita
Fa da contrappunto allo spazio cavo racchiuso dalle colonne del Papa il tutto-tondo dell’Appeso, detto anche L’albero della Vita, il cui solido corpo coronato da teste di serpenti è ricoperto, come un giornale murale, di iscrizioni, graficismi e disegni di Tinguely e di Niki de Saint Phalle, che narra in particolare la sua esperienza autobiografica nelle formelle del pannello “My Love”. Delineata con fili di colore al centro di un settore ovale ricoperto di specchi, l’Albero della Vita reca la figura dell’Impiccato, che dal suo punto di vista rovesciato suggerisce un altro modo di guardare la realtà delle cose. E mentre di fronte sale fino alla testa del Matto la serpeggiante scalinata blu intenso sotto la quale è nascosto l’accesso all’interno della testa-fontana della Papessa, dipinto di azzurro con stelle argentee, sulla destra si staglia, inquietante nel suo netto contrasto di bianco e nero, la figura della Giustizia, con la bilancia poggiata sui grandi seni e lo spazio interno, sbarrato da un cancello chiuso da un enorme lucchetto, occupato da un’altra delle sinistre mecaniqués di Jean Tinguely raffigurante L’Ingiustizia.
Procedendo lungo la stradina di cemento – mentre un cartello segnala una possibile deviazione in mezzo al boschetto, dove sono collocate le sculture degli Innamorati, coloratissime e gioiose figure in poliestere che sedute sul muretto consumano il loro pic-nic e, più indietro, solitaria in mezzo ad una piccola radura, il Profeta, grande fantasma cavo interamente ricoperto di specchi – ci si imbatte nel castello dell’Imperatore, concepito “come una cittadella imperiale munita di torri, di un camminamento di ronda, di un cortile adornato da una fontana e da 22 colonne (il numero degli Arcani Maggiori) che sostengono un loggiato”.

L’Imperatore
L’Imperatore “è la figura con maggiore completezza architettonica, che Niki de Saint Phalle ha studiato a lungo e modificato dove pare raccolta l’eredità di Gaudí”. Rappresenta la carta del Maschile, fisico e psichico (simboleggiato dalle strutture verticali e dal razzo rosso rivolto verso il cielo poste in fregio al camminamento superiore), dell’ambizione, del potere consolidato simboleggiato anche dal ricco repertorio materico – “una onirica rievocazione del ready-made degli anni Sessanta”- che comprende “vetri di Murano e murrine, specchi di Francia, cecoslovacchi e di Boemia, rilievi decorativi (…) e tasselli di un puzzle senza eguali”, richiamando “oggetti ed elementi dei più vari o ne sono dei calchi fino ai volti di tutti coloro che hanno collaborato alla creazione del Giardino dei Tarocchi, i cui nomi sono anche riprodotti in murrine tutto attorno ad una delle colone del loggiato”. Al centro del cortile racchiuso da questo ondeggiante, polimaterico loggiato, è ritagliata una vasca circolare nella quale quattro felici, coloratissime nanas fanno il bagno, schizzando dai seni getti d’acqua. Sul retro del Castello, staccata ma incombente, si eleva la Torre, simbolo delle costruzioni mentali non fondate su basi solide, interamente rivestita di specchi e decapitata dalla violenza del fulmine-macchina-ferraglia concepita da Jean Tinguely. Dalle finestre rettangolari ritagliate lungo le pareti della Torre si può avere una visione dell’interno dell’edificio, le cui strette stanze erano state adibite ad ufficio, oggi non accessibile.

L’Imperatrice-Sfinge
Precedentemente chiusa al pubblico è anche la scultura più rappresentativa ed importante del complesso, la Imperatrice-Sfinge nella quale Niki de Saint Phalle ha abitato per lunghi periodi durante i lavori. Posta a lato del Castello, l’Imperatrice si affaccia sulla piazza sottostante ed è posta in posizione dominante sull’intero Giardino. Enorme ed opulenta, il corpo esageratamente formoso rivestito di una fantasmagoria di ceramiche molate, l’Imperatrice incarna forse meglio di qualsiasi altra scultura la cifra stilistica della “curva” adottata da Niki de Saint-Phalle fin dagli anni Sessanta nelle sue “Nanas”. All’interno della “grande madre” – “spazio tutto a rotondità ondulate senza alcun angolo” secondo le parole dell’autrice, adibito ad abitazione con la stanza da letto in un seno, la cucina nell’altro e lo spazio centrale arredato come soggiorno studio – sono state collocate il 17 agosto 1996 – attualmente visibili – la figure del Giudizio, delle Stelle e del Carro, riflesse dalle migliaia di frammenti di specchi veneziani che rivestono le pareti. Sul dorso dell’Imperatrice, i filamenti della chioma rivestita di specchi blu elettrico che incornicia il volto nero della figura, delimitano una terrazza-belvedere tutta anfratti e concavità, accessibile da una scalinata modellata sul lato esterno, dai cui si gode l’ampio panorama della campagna circostante e la visione argentea della Luna, scultura “skinny” sostenuta dal granchio rosso posta al centro di una radura più in basso.

La Temperanza
Ancora proseguendo il cammino, sul limitare del pendio di sinistra sorge la cupoletta-cappella di specchi e cemento sovrastata dalla figura della Temperanza, dedicata alla memoria di Jean Tinguely e di Ricardo Menon; l’igloo è rivestito all’interno di specchi e formelle ceramiche in forma di fiori, ed è incentrato attorno ad un piccolo altare con il bassorilievo coloratissimo di una Madonna nera, che veglia sulle fotografie degli amici scomparsi. Entrare nella cappella significa penetrare in una dimensione in cui si perdono i parametri spaziali conosciuti: più che in altri luoghi del Giardino (e ancora più forte deve essere la sensazione all’interno dell’Imperatrice), l’effetto è di un avvolgente, spaesante caleidoscopio di colori e di forme curve continuamente riflesse e frantumate, uno spazio magico e sfuggente nel quale sembra tradursi il concetto stesso di infinito. Nei pressi della cappella, nelle piazzole in mezzo al verde, sono sistemate sculture-sedili a forma di animali, utilizzabili come momenti di sosta, di contemplazione e di meditazione, mentre altre sculture, di soggetto mitico (la Dea dei serpenti o l’Oracolo) o animale (il gatto Ricardo) sono sparse nel boschetto.

La Morte-Il Diavolo-Il Matto-Il Mondo
Ritornando indietro fino alla scultura del Sole, un altro piccolo sentiero sterrato conduce scendendo all’ultimo, selvaggio settore del Giardino, un solitario itinerario composto di tre piccole radure vicine in cui si ergono, isolate, le sculture della Morte, posta su un basamento di specchi e simboleggiata da una ghignante figura dorata in sella ad un cavallo blu che falcia uomini e animali ai suoi piedi; del Diavolo, in agguato sul fondo di una nicchia vegetale, con le ali di pipistrello spiegate, il corpo coloratissimo, il sesso incerto, le due figure umane – femminile e maschile – ai lati; del Matto, filiforme scultura “skinny” in cui il giovane vagabondo, nel quale l’artista si identifica, è il simbolo del caos, dello spirito e dell’entusiasmo ed infine del Mondo, eseguita insieme a Tinguely che ha creato la macchina ferrosa alla base che fa ruotare ad intervalli regolari, illuminando magicamente con minuscole particelle di luce il verde circostante, la sfera di specchi stretta tra le spire di un serpente e sovrastata da una figura di donna a braccia aperte.

La Forza
La scultura della Forza rappresenta l’undicesimo Arcano dei Tarocchi e mostra una donna che tiene sotto controllo un drago, legato a lei da un filo invisibile. Si tratta di una originale interpretazione di questo Arcano, che, dal mazzo dei Visconti del 1450, raffigura una donna che apre le fauci ad un leone. L’introduzione della figura del drago mostra anche i debiti iconografici che l’artista ha verso le sculture del Bosco Sacro di Bomanzo, dove è presente un drago che ricorda molto quello di Niki de Saint Phalle.

Fonte: Wikipedia

La Piramide Etrusca vicino Bomarzo

25 Ott

Idee per una gita fuori porta: la Piramide Etrusca vicino Bomarzo.
La Piramide, detta anche Sasso del Predicatore, si trova a poca distanza dal famoso Parco dei Mostri o Sacro Bosco di Bomarzo.

L’altare piramidale di Bomarzo, meglio conosciuto come “La Piramide”, consiste in masso di peperino a base rettangolare delle dimensioni di mt 8 x 16 e alto circa 8-10 mt., presumibilmente usato nell’antichità, dagli Etruschi del VII secolo A.C., come luogo di culto.

La Piramide è ubicata in località “Tacchiolo” del Comune di Bomarzo (VT), non lontana dal sito Etrusco di “Santa Cecilia”.

L’altare, come visibile dalle foto a lato, è costituito da 26 gradini che conducono a due altari affiancati e più in cima all’altare principale.

Per raggiungere “la Piramide”, senza una guida locale, ci si deve addentrare dapprima nelle campagne che circondano Bomarzo e proseguire poi nel bosco seguendo i sentieri segnalati. Le coordinate gps della piramide sono le seguenti: 42.481246, 12.263783

Fonte: Proloco Bomarzo

Vedi anche:

Il Parco dei Mostri a Bomarzo

5 Apr

Idee per una gita fuori porta: il suggestivo Parco dei Mostri a Bomarzo, tra natura e sculture cinquecentesche.

Il cosiddetto Parco dei Mostri o Sacro Bosco di Bomarzo, in provincia di Viterbo, è un complesso monumentale situato alle pendici di un vero e proprio anfiteatro naturale.

L’architetto e antiquario Pirro Ligorio su commissione del principe Pier Francesco Orsini (detto Vicino Orsini) progettò e sovraintese alla realizzazione, nel 1547, del parco, elevando a sistema, nelle figure mitologiche ivi rappresentate, il genere del grotesque. Alcuni studiosi, erroneamente, facevano risalire la “regia” a Michelangelo (E. Guidoni), mentre altri, in particolare per il Tempio citavano il nome di Jacopo Barozzi detto “il Vignola”. La realizzazione delle opere scultoree fu probabilmente affidata a Simone Moschino. L’Orsini chiamò il parco Sacro Bosco e lo dedicò a sua moglie, Giulia Farnese (non l’omonima concubina del papa Alessandro VI). Vi sono anche architetture impossibili, come la casa inclinata, o alcune statue enigmatiche che rappresentano forse le tappe di un itinerario di matrice alchemica.

Iscrizioni sui monumenti stupiscono e confondono il visitatore. Forse questa era l’intenzione del principe:
« Voi che pel mondo gite errando vaghi di veder meraviglie alte et stupende venite qua, dove son facce horrende, elefanti, leoni, orchi et draghi. »

Ci sono anche implicazioni morali:
« Animus quiescendo fit prudentior ergo. »

O forse il complesso fu fatto semplicemente “per arte” in un doppio senso della parola:
« Tu ch’entri qua pon mente parte a parte et dimmi poi se tante maraviglie sien fatte per inganno o pur per arte. »

Scienziati storici e filologi hanno fatto parecchi tentativi di spiegare il labirinto di simboli, e hanno trovato temi antichi e motivi della letteratura rinascimentale, per esempio del Canzoniere di Petrarca, dell’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto e dei poemi Amadigi e Floridante di Bernardo Tasso (in quest’ultimo compare ad esempio un dragone d’acciaio con una stanza all’interno, e dalla cui bocca uscivano amazzoni a cavallo). Sono rimasti, però, talmente tanti misteri che uno schema interpretativo universale, alla fine, forse non potrebbe essere trovato; su un pilastro, però, compare la possibile iscrizione-chiave “Sol per sfogare il core”. John Shearman, che cita più volte il parco nel suo Mannerism, parla di “incredibili, piacevoli e soprattutto manifeste finzioni – prodotti d’evasione artistica e letteraria”. Nel 1585, dopo la morte dell’ultimo principe Orsini, il parco fu abbandonato e nella seconda metà del Novecento fu restaurato dalla coppia Giancarlo e Tina Severi Bettini, i quali sono sepolti nel tempietto interno al parco, che forse è anche il sepolcro di Giulia Farnese.

Il Parco é aperto tutti i giorno dell’anno con orario continuato:
08.30 – 19.00 (01/04 – 31/10)
08.30 al tramonto (01/11 – 31/03)